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03 marzo 2022

Life Sciences

DDL Concorrenza 2021: l’Italia verso la rimozione del Patent Linkage?

Il Disegno di Legge “Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021”, attualmente in corso di esame in Senato, prevede la rimozione dall’ordinamento italiano del c.d. patent linkage, mediante l’abrogazione dell’art. 11, comma 1-bis, del Decreto Balduzzi. Ne parlano gli avvocati Stefano Giberti ed Erica Benigni nell'articolo pubblicato su Aboutpharma

Si tratta, come noto, della norma di rango primario che all’epoca fu ritenuta, da molti, responsabile della reintroduzione nell’ordimento giuridico italiano del c.d. “patent linkage”. Altri sostenevano invece che, posto che l’esistenza del brevetto non pregiudicava la concessione dell’autorizzazione all’immissione in commercio (“AIC”), si dovesse piuttosto parlare di un “reimbursement linkage” in merito al quale il diritto comunitario non avrebbe avuto titolo per interferire e quindi, come tale, legittimo. 

Laddove la proposta abrogativa del DDL Concorrenza 2021 venisse approvata, i medicinali equivalenti verrebbero classificati come rimborsabili dall’Agenzia Italiana del Farmaco (“AIFA”) contestualmente alla conclusione della procedura di ammissione al rimborso e negoziazione del prezzo. Pertanto, l’inserimento in lista di trasparenza non dipenderebbe più dalla scadenza della copertura brevettuale[1]. Tale misura eliminerebbe in sostanza l’oggettiva anti-economicità di un ingresso sul mercato del medicinale equivalente in classe C, sempre possibile, scaduta la c.d. market exclusivity, prima della scadenza del brevetto del farmaco originario di riferimento (c.d. farmaco originator)[2] ma, appunto, antieconomica e svantaggiosa per i produttori di medicinali equivalenti.

Come prevedibile, la misura si è presentata da subito come divisiva, toccando interessi opposti e di difficile bilanciamento: quello del titolare del brevetto a non veder erosa una parte essenziale delle sue prerogative e quello del produttore del medicinale equivalente a un mercato libero e paritario. 

 

Il patent linkage nell’ordinamento italiano

Con l’espressione patent linkage si fa riferimento a qualsiasi pratica che subordina alla durata del brevetto del medicinale originator le attività amministrative di autorizzazione dei medicinali equivalenti (e.g. rilascio dell’AIC, determinazione del prezzo e inserimento nelle classi di rimborsabilità a carico del S.S.N.).

In origine, il Codice della Proprietà Industriale[3], all’art. 68, comma 1 bis, prevedeva che le aziende produttrici dei medicinali equivalenti potessero avviare la procedura di registrazione in anticipo di un solo anno rispetto alla scadenza del brevetto o della protezione complementare. 

Tuttavia, la disposizione ha subito una integrale abrogazione dopo l’avvio di una procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea, che l’ha ritenuta contraria alla Direttiva 2001/83/CE e, quindi, al divieto eurounitario di patent linkage (divieto – come vedremo – oggi apparentemente non più così netto).

Dopo poco, l’Italia ha introdotto nuovamente un condizionamento brevettuale, sebbene in forma attenuata stabilendo, con il Decreto Balduzzi, quella che ancora oggi è la disciplina vigente e che, come visto, consente ai produttori di medicinali equivalenti di ottenere l’AIC prima della scadenza del brevetto del medicinale originator e di commercializzare il prodotto in classe C, ma non anche di chiederne l’immediato inserimento nella lista di trasparenza ad integrale carico del Ssn.

 

Patent linkage e normativa europea: profili di contraddizione

L’Unione Europea ha da sempre sostenuto il divieto del patent linkage con l’obiettivo di (i) rafforzare l’indipendenza tra enti regolatori e procedure di carattere pubblicistico rispetto alla tutela della proprietà intellettuale affidata ai giudici ordinari, (ii) incentivare l’accesso al farmaco e (iii) tutelare la concorrenza.

Proprio in tale ottica, sono state avviate svariate procedure di infrazione contro le contrastanti previsioni degli Stati Membri, prima fra tutte, come visto, quella contro le originarie previsioni del Codice della Proprietà Industriale italiano.

Nonostante ciò, il recente Regolamento UE 2019/933[4] ha introdotto la c.d. SPC[5] manufacturing waiver, che permette ai produttori di medicinali equivalenti di effettuare alcune attività, a determinate condizioni, in deroga alla tutela prestata dal certificato di protezione complementare (“CCP”)[6]. Tra queste attività, il Regolamento prevede che i produttori di medicinali equivalenti possano fabbricare, non prima dei sei mesi antecedenti la scadenza del CCP, un prodotto o un medicinale contenente tale prodotto, a fini di stoccaggio nel mercato dello Stato Membro di fabbricazione, per poi poter immettere sul mercato degli Stati Membri tale prodotto o medicinale immediatamente dopo la scadenza del CCP del medicinale di riferimento.

Dunque, pur essendo ammessa, peraltro a limitati fini, la fabbricazione del medicinale equivalente prima dello scadere del CCP e pur cercando di anticipare le attività burocratiche per la sua celere commercializzazione una volta scaduto il CCP, al tempo stesso è però evidente che lo spirare del CCP sia stato espressamente posto come un effettivo condizionamento e, quindi, come concreto limite al pieno dispiegarsi delle parità di condizioni giuridico-economiche.

Ad oggi, dunque, sembra potersi affermare che, la ritrosia mostrata dall’Unione Europea verso il condizionamento brevettuale, si sia quantomeno attenuata, forse anche al fine di non indebolire di contenuto giuridico gli istituti di copertura brevettuale. Ed invero, nonostante la ratio della SPC manufacturing waiver sia quella di incentivare la concorrenza consentendo di avviare la fabbricazione prima dello scadere del CCP, al tempo stesso si proibisce l’immissione in commercio del medicinale equivalente fino alla scadenza del CCP stesso. 

Ora, essendo il Regolamento UE 2019/933 immediatamente esecutivo negli ordinamenti giuridici degli Stati Membri, già oggi si pone un tema di coordinamento fra disciplina nazionale e eurounitaria, visto che quest’ultima, a rigore, è prevalente e sovraordinata. Tale tema si fa ancor più caldo se si pensa a quanto potrebbe accadere in caso di effettiva abrogazione dell’art. 11, c. 1-bis, del Decreto Balduzzi. Infatti, il produttore del medicinale equivalente, una volta ottenuta l’AIC e la rimborsabilità dall’AIFA, potrebbe iniziare la commercializzazione del medicinale – a questo punto nella stessa classe di rimborsabilità dell’originator – anche prima dello scadere di un eventuale CCP, senza limitazione alcuna. Si accentuerebbe pertanto un problema di coordinamento con il Regolamento UE 2019/933, che è norma di rango superiore e immediatamente esecutiva negli ordinamenti giuridici degli Stati Membri.

 

Riflessioni conclusive e uno sguardo oltreoceano

L’obiettivo del presente contributo non vuole essere quello di stabilire quale soluzione sia più adatta nel bilanciare le varie posizioni in gioco. Diversamente, si auspica che i diversi player del settore possano fare affidamento su un sistema armonico e chiaro, che possa favorire pienamente sia la concorrenza sia la certezza dei rispettivi diritti.

Se guardiamo al regime statunitense, la registrazione dei medicinali equivalenti è disciplinata dal c.d. Hatch-Waxman Act[7], che prevede una corsia accelerata di approvazione del medicinale generico a mezzo di una procedura autorizzativa semplificata, la Abbreviated New Drug Application (“ANDA”). 

È qui di interesse –  pur se non esente da critiche e sebbene si sia prestata (e si presti) ad abusi o presunti tali (es. reverse payments) –  la possibilità data al produttore del medicinale equivalente di “sfidare” il titolare del farmaco originator chiedendo l’approvazione del medicinale equivalente prima della scadenza della copertura brevettuale. In particolare egli può chiedere – notificandola anche al titolare dell’esclusiva – l’approvazione del suo prodotto alla Food and Drug Administration (“FDA”) prima della scadenza della privativa[8], presentando, insieme alla richiesta di autorizzazione, una attestazione di ritenuta invalidità o non contraffazione del brevetto stesso (c.d.: Paragraph IV certification). Sarà poi il titolare di quest’ultimo, se intenzionato, ad avviare entro 45 giorni dalla notifica un’azione legale per contraffazione contro il produttore del medicinale equivalente, determinando così la sospensione da parte dell’FDA del processo autorizzativo per trenta mesi (c.d. 30 month-stay) salvo che sopravvenga la scadenza del brevetto stesso[9]. In caso, invece, di mancata azione, l’FDA potrà procedere con il riconoscimento dell’autorizzazione in favore del medicinale equivalente. 

Tale sistema è ancora visto da molti come uno strumento di salvaguardia della certezza del diritto e delle posizioni giuridiche soggettive dei soggetti interessati poiché l’ottenimento dell’AIC (o meglio,marketing authorization) e la successiva commercializzazione del medicinale equivalente possono avvenire solo in tre casi: (i) rinuncia del titolare del farmaco originator alla causa per contraffazione brevettuale nel termine di 45 giorni dalla notifica; (ii) scadenza del brevetto come da Orange Book; (iii) decisione di invalidità del brevetto o di non contraffazione. 

Pare quindi di poter dire che negli Stati Uniti non viga un regime di patent linkage vero e proprio , neanche in forma attenuata, ma piuttosto un sistema dove la certezza del diritto trova la sua fonte nella volontà stessa delle parti, senza particolari ostacoli etero-imposti dall’ordinamento: la tutela brevettuale è riconosciuta solo nella misura in cui sia il relativo titolare a ritenerlo opportuno, avvalendosi o meno degli strumenti processual-giudiziari messi a disposizione dall’ordinamento per avversare il procedimento di autorizzazione e commercializzazione del medicale equivalente.

Il modello statunitense difficilmente potrà essere mutuato sul piano eurounitario e nazionale e, come accennato, non è esente da limiti e forzature. E chi scrive non ignora che la dicotomia tra tutela della concorrenza e proprietà industriale non è certo di facile soluzione: qualsiasi posizione il legislatore europeo e/o italiano possano adottare, inevitabilmente scontenterà una delle parti interessate.

Tuttavia, è pur vero che l’incertezza del quadro normativo di riferimento causata dal difficile coordinamento fra disciplina nazionale e eurounitaria –  ulteriormente aggravata in caso di effettiva abrogazione dell’art. 11, c. 1-bis, del Decreto Balduzzi da parte del DDL Concorrenza 2021 –  impone maggior chiarezza e forse una maggior consapevolezza in merito alle notevoli conseguenze applicative che possono derivare da un corpus normativo di difficile composizione. 

Stefano Giberti, Erica Benigni. Aboutpharma, 2 Marzo 2022


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[1] Aifa con Comunicato del 7 maggio 2013 aveva precisato che “la determina di classificazione del medicinale ai fini della rimborsabilità recherà la classificazione del medicinale nella classe C(nn) fino alla scadenza del brevetto e indicherà altresì la eventuale classificazione in fascia di rimborsabilità a carico del SSN e il relativo prezzo con effetto a decorrere dalla data di scadenza del brevetto o del certificato di protezione complementare”.

[2] L’immissione in commercio del generico è consentita dall’art. 10 del Codice del Farmaco (art. 10, c. 2, D.Lgls. 219/2006) a condizione che siano trascorsi dieci anni dall’autorizzazione iniziale del farmaco di riferimento.

[3] Decreto Legislativo 30/2005.

[4] Tale Regolamento modifica il Reg. CE 469/2009 sul certificato protettivo complementare per i medicinali.

[5]Supplementary Protection Certificate. Si tratta del certificato di protezione complementare.

[6] Cfr.art. 15 del Reg. CE 469/2009, introdotto dall’art. 1 del Reg. UE 2019/933.

[7] Altra denominazione per indicare il “Drug Price Competition and Patent Term Restoration Act”.

[8] Limitatamente ai brevetti presenti nell’elenco dell’FDA’s Approved Drug Products with Therapeutic Equivalence Evaluations (c.d. Orange Book).

[9] Ovvero una decisione di invalidità o non contraffazione o di dismissal/settlement.